Il viaggio così come lo intendiamo noi oggi nasce da quello che un tempo era chiamato “Grand Tour”. Siamo nel periodo compreso tra il XVI e il XIX secolo, quando giovani britannici aristocratici e borghesi, al termine dei loro studi, compivano un “viaggio di istruzione” attraverso l’Europa, per coronare la loro carriera scolastica. In questo modo il Grand Tour diventava un momento basilare nel processo educativo dei giovani che partivano con le carrozze di proprietà oppure affittate per l’occasione. Il termine “tour” sottolinea il concetto di “giro”, quello che effettivamente si effettuava partendo e tornando nella propria città.
Le mete più gettonate del Grand Tour, per i viaggiatori che partivano dall’Inghilterra, erano Parigi, Genova e le città archeologiche di Pompei ed Ercolano. Per chi partiva dalla Francia, invece, la città più visitata era Torino, mentre gli svizzeri prediligevano il Lago Maggiore e Milano. I giovani che partivano dalla Germania solitamente si dirigevano a Venezia, città che da sempre attira per il suo fascino più unico che raro.
Nel 1615 Bacone scrisse un importante testo intitolato “Of travel” in cui delineava le regole principali del “viaggiare bene”. Secondo lo studioso è innanzitutto importante seguire precise regole, conoscere la lingua dei luoghi che si visitano, affidarsi ad una guida, informarsi sui libri, tenere un diario, cambiare spesso località, ammirare i beni culturali, evitare i conterranei per dare spazio al nuovo. Bacone vede il viaggio come crescita personale, per questo motivo incentiva i giovani a viaggiare il più possibile.
Il filosofo Locke sottolinea la funzione pedagogica del viaggio. Viaggiando si ha la possibilità di imparare nuove lingue e di crescere in giudizio e prudenza.
L’Italia è da sempre ritenuto un paese complesso da attraversare viaggiando, questo a causa della sua politica, del territorio e della cultura estremamente varia. Viaggiando nel Belpaese si ha la possibilità di mettersi alla prova e di superare i propri limiti.
Nel 1836 venne pubblicata la prima guida turistica Murray dal titolo “Handbook of Holland”. Un tempo le carte geografiche venivano vendute singolarmente, mentre in seguito vennero pian piano integrate alle guide turistiche, fino a diventarne parte inscindibile.
Il corredo di viaggio, con il tempo, si è affinato. Sono cambiati gli abiti da viaggio, non si usa più portare gioielli preziosi, i bauli di legno di una volta sono sostituiti da contenitori sempre più pratici, il necessario per la toeletta viene ridotto al minimo indispensabile e il cibo selezionato il più possibile.
Montaigne parla dell’occasione che il viaggio offre di entrare in contatto con spettacoli tradizionali dei luoghi visitati. Questa possibilità fa comprendere più di ogni altra la mentalità della gente che popola quel luogo e permette al turista di entrare nel vivo del territorio. Montaigne descrive Livorno, ad esempio, come una città che, grazie alla presenza dei Medici, divenne il centro del commercio trasformandosi in una città cosmopolita. È famosa per la sua vivacità culturale e la libertà di culto e di espressione che la contraddistingue da sempre. Secondo Montaigne la piazza di Siena è la più bella d’Italia, quindi non si può non visitare almeno una volta nella vita, così come imperdibile è la Cappella Sistina a Roma, città in cui spesso i grandtouristi soggiornavano nelle case di piacere piuttosto che negli hotel.
Ghoete è stato il primo a parlare del concetto di “souvenir”, visto come regalo di viaggio per i propri cari. Parla di Roma, meta già apprezzata nel Medioevo, come viaggio che coronò il suo sogno più grande e del suo smisurato amore per la Sicilia (“il paese dei limoni”) e di Agrigento in special modo.
Montesquieu parla dei pregiudizi più diffusi tra i viaggiatori: i genovesi sono poco socievoli e avari, i napoletani sono superstiziosi, i lucchesi accumulano ricchezze.
Nell’era del turismo di massa, il viaggio non è più “un’avventura” e ha perso quasi completamente l’accezione di “viaggio di formazione” per dare spazio al “viaggio di evasione”. Questo è un peccato perché, va bene l’evasione, ma la possibilità di conoscere posti nuovi, gente diversa da noi e tradizioni che neanche ci immaginiamo, può davvero arricchirci e renderci persone migliori.
L’ideale sarebbe riuscire sempre a coniugare lo svago allo studio del luogo, per tornare a casa rigenerati in tutti i sensi! E come dice Calvino “…d’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che da ad una tua domanda”.